Pastrengo Agenzia Letteraria

Monthly Archives: Febbraio 2024


racconto francesca savoia

solo un capello

Un racconto di Francesca Savoia
Numero di battute: 2382

Stanno immobili, uno di fronte all’altra, infilati nella vasca da bagno. Luca tiene gli occhi chiusi e Anna sente materializzarsi in quel silenzio una distanza dolorosa che presagisce da tempo. Getta la testa all’indietro languidamente, inarcando la schiena fino a spingere i seni fuori dalla superficie dell’acqua. Aspetta con ostinazione che Luca si avvicini e le fa male la schiena nel punto in cui si appoggia al bordo della vasca. Sa che domani comparirà sulla sua pelle un livido violaceo puntuto di rosso, una striscia di dolore a ricordarle che insistere non serviva a nulla, ma non si rassegna, vuole lasciare il suo corpo nudo in bella vista come un’esca.

Pensa al loro primo bagno insieme, quando subito dopo lui le aveva detto timidamente: «Con te sento una connessione che non ho mai provato prima». Anna gli dava le spalle e fumava alla finestra una sigaretta umida di entrambe le loro salive. Si era voltata a guardarlo e l’aveva amato così profondamente da desiderare che lui la mangiasse. Fammi esistere solo per te, aveva pensato.

«Vuole lasciare
il suo corpo nudo in bella vista come un’esca.»

Luca resta ancora immobile. Dov’è finito tutto il suo amore ora? Anna scivola vergognosamente verso il basso, lasciando che l’acqua la avvolga fin sopra le clavicole. Nasconde la frustrazione sotto una voce carezzevole e sperando di attirare la sua attenzione chiede: «Il lavoro ti ha stancato molto?». Vorrebbe che avesse bisogno di lei come di una madre, così da essere sicura di averlo per sempre.

«No, tutto bene. I colleghi nuovi sono gentili.» Luca apre finalmente gli occhi, e mentre stende le gambe sbadatamente tocca quelle di lei, che sorride di quel piccolo contatto improvviso.

Rinfrancata dalla vicinanza del suo corpo, lo incalza con piccoli colpetti sulle cosce. «Nel weekend ho detto a Giulia che sarei stata con te, andiamo al cinema?»

«In realtà gli altri volevano uscire… magari ci andiamo un’altra volta!»

Un’ondata di tristezza le risale dallo stomaco e mastica quel dolore tra denti e saliva senza sapere cosa rispondergli.

«Mi fumo una sigaretta» le dice. In uno sciabordio d’acqua le imprime un bacio rapido sulla fronte. Mentre Luca afferra l’accappatoio, Anna nota sul suo braccio un lungo capello bruno rimasto appiccicato per sbaglio e pensa che quella sia l’unica cosa che di lei gli resta davvero addosso. Lo osserva allontanarsi e diventare una sagoma sempre più liquida sotto il suo sguardo appannato.

Francesca Savoia bio

Francesca Savoia è nata in provincia di Mantova tra la nebbia e le zanzare. Laureata in Lettere moderne all’università di Bologna e attualmente iscritta alla magistrale di Filologia. È appassionata di arte, fotografia e teatro e coltiva l’amore per la scrittura sin da quando era bambina.

Azzolini Ezio racconto

la sera del vostro scudetto

Un racconto di Ezio Azzolini
Numero di battute: 2486

Ehi, questo te lo devo proprio dire, nel solo modo che conosco. Sotto il murale gigante eravamo migliaia, noi avevamo scelto la metà della via, a vedere lo schermo messo storto tra le teste e le bandiere. Tu stavi sul muretto che dà sul largo dei tabernacoli, degli ex voto e della santità. Vedevi meglio tu, eri arrivata presto.

Dino ci moriva, io non lo so che ci stavo a fare, un po’ di onestà te la devo. Volevo partecipare a una festa, può darsi. Non ero invitato ma nessuno se l’è presa.

Portavi la maglia Buitoni dello scudetto dell’87. Era un’imitazione fatta bene. O nell’87 quella maglietta ha imitato te, qui ora così, può darsi. Eri celeste da perdere il fiato, quest’è. Dico quest’è, come ci fosse da mimetizzarsi. Ma non ho bisogno, non ero invitato ma nessuno se l’è presa. Delle ragazze di Napoli eri la sola senza trucco, questo lo giuro. Anche da lontano lo vedevo che non avevi il trucco. Sei arrivata presto per metterti in piedi sul muretto, forse eri lì prima che nascesse la città e nascesse il mondo.

«Portavi la maglia Buitoni dello scudetto dell’87.»

Dopo, quando è finita e si è incendiato tutto e tutti hanno urlato, io volevo prendere il momento e invece mi sono distratto. Ti sei accorta da lontano che ti stavo fotografando. Non te la sei presa. Ti sei messa in posa per me, hai fatto il tre con la mano come in un cartone di Miyazaki e mi hai sorriso. Ce l’ho qui sfocato in galleria, lo andrò a guardare quando ho un po’ bisogno. Troppe luci tutte insieme, il tuo sorriso troppe luci e niente fuoco, lo Xiaomi non ce l’ha fatta, e neppure io.

Nella folla del largo impazzito non ci siamo più visti. Non è vero. Ti ho vista andare via, e non ho fatto niente. Avrei potuto dirti: ehi, in treno ho scritto una storia, ci sono io che vedo un padrone che prende a calci il suo cane, allora lo difendo e calcio il padrone, e il cane difende il padrone e prende a morsi me. Avrei dovuto spiegarti che tanto la foto era venuta male, che con me non avresti fatto un grande affare. Ma questo lo giuro, sarai una delle ragazze che penso. Quelle che da ragazzo vedevo ballare all’alba con la pista quasi vuota, e me ne stavo lì fermo.

Al bar della stazione Dino ha preso un cornetto e io non ho preso niente. Lo scatto nella galleria si perderà tra altri sbagliati e poi verrà cancellato da un upload. Oppure non si perderà, lo svilupperò finto Polaroid per andare al sughero sul muro, il bel fantasma sfocato della gioia universale. Nel vetro dei cornetti c’era un insetto con diverse zampe. Ma a Dino non ho detto nulla.

Azzollini enzo

Ezio Azzollini è nato a Bari nel 1983 ed è giornalista. Scrive di cultura e sport per Esquire, ha pubblicato racconti su LiberAria, Tapirulan, Efemera, Cedromag, SuperTrampsClub. È stato finalista del Premio Calvino nella call di racconti del 2020. Lavora al suo primo romanzo.

Sarah Cipullo racconto

la torre di babele

Un racconto di Sarah Cipullo
Numero di battute: 2303

Cody vuole gettare il CEO giù dalla torre dopo avergli piantato due chiodi negli occhi. Vuole spingerlo dalla cima della fabbrica di Babele, la chiamano così, la nostra azienda. È una fabbrica verticale, la nostra, che cresce ogni ora. E il CEO è sempre lì, al piano più alto.

Anche noi siamo sempre qui. Io e Cody, per esempio, stiamo insieme al duecentoventinovesimo. Di notte ci dormiamo, qui dentro, e di giorno ci lavoriamo insieme agli altri, in fretta e senza sentimento. Sono tutti così organizzati qui, i colleghi parlano tutti la stessa lingua rotta, lo stesso inglese rattrappito. Anche se il suo è bello, quello di Cody, dico, perché Cody è madrelingua e quindi parla come un nobile.

«Di notte ci dormiamo,
qui dentro,
e di giorno
ci lavoriamo.»

Negli ultimi mesi però Cody dopo lavoro ha iniziato ad accasciarsi per terra. Ha sempre le spalle curve, la faccia stanca, con le mani si tiene le ginocchia. Non dorme più la notte, Cody, non ci riesce. Se ne sta nel buio con gli occhi spalancati e dice che i manager sono tutti un’accozzaglia di zombie, dice che il CEO è un re rozzo che vomita bestemmie al centro dell’universo. Poi certe mattine si sveglia e mi dice: «Michele, questo lavoro è la mia vita in pausa».

Sempre si lamenta, che la nostra fabbrica gli sembra una città senza desiderio, così dice, che è stata congelata dalla noia prima del raffreddamento del pianeta. Dice, Cody, che se il CEO fosse stato un animale, avremmo avuto una vita migliore. Che gli animali hanno una voglia incrollabile di vivere, capiscono che la vita è un dono prezioso e la custodiscono gelosamente.

«Se al tempo che mi rimane tolgo gli anni in fabbrica, quanto mi resta da vivere?» mi chiede certe mattine. E pure se lo capisco, non gli rispondo mai niente. I nostri colleghi sono infaticabili e quindi cosa gli devi dire a uno così, quando tutti quelli che gli stanno attorno gli piantano ogni giorno un chiodo nella bara? Però Cody ci vede lungo. «Nel futuro posso solo morire» ha detto ieri mentre si metteva a letto.

Così quando il capo reparto stamattina è venuto a chiedermi se sapevo perché il corpo di Cody è disarticolato sul cemento del marciapiede, gli ho detto che secondo me si è alzato presto, mentre ancora io dormivo. E che, nell’impossibilità di ammazzarci tutti, deve aver pensato che non gli restava altro da fare che gettarsi giù dalla torre.

Sarah Cipullo racconto

Sarah Cipullo vive a Torino. Le ultime tre riviste che hanno pubblicato le sue storie sono: Hook Magazine, The New York Times e Sky Island Journal. Non è bilingue.