Pastrengo Agenzia Letteraria

Monthly Archives: Settembre 2018


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così piccolo e freddo

Un racconto di Silvia Pelizzari
Numero di battute: 2432

«Pensi mai a quella notte?» chiede lei all’improvviso mentre sono seduti sul marciapiede. I loro profili sono illuminati dalle sigarette accese.
Non lo guarda, ma può sentire i muscoli del suo viso irrigidirsi, la mascella indurirsi fino quasi a pulsare.
Lui aspira e butta fuori il fumo girandosi dall’altra parte.
«No, non ci penso mai» dice secco. Poi tira di nuovo, perché non vuole dire altro.
«È passato molto tempo, ma è come un bracciolo che torna a galla, non importa quanto spingo verso il basso.»
«Ci eravamo promessi che non ne avremmo parlato mai più, non capisco perché te ne esci ora con questa storia.»

Lei allora non aggiunge niente, ma non sa come riempire il silenzio e lo spazio tra loro, così piccolo e freddo.
Il carro attrezzi arriverà a breve. Ogni tanto si sente il rumore delle auto che passano e l’aria che si infila tra gli alberi alle loro spalle, prima di uno spiazzo dove la terra è ancora bruciata dall’incendio.

Non sono mai più tornati lì, e a lei sembra strano che la loro macchina si sia fermata proprio in quel punto, dopo così tanti anni, tra tutti i punti possibili su quella strada statale. Quando gliel’ha fatto notare lui ha risposto «È solo un caso», e lei ha annuito, ma ha continuato a pensarci.

«Eravamo
dei ragazzini.»

«Eravamo dei ragazzini» dice lui dopo un po’, e lei è contenta di sapere che in quello squarcio di silenzio lui non abbia spostato lo sguardo altrove. È contenta di sapere che ci ha pensato, anche solo il tempo di dire poche parole. Così rimane zitta, sperando che lui parli ancora.
«È stato un incidente, e noi eravamo solo dei ragazzini.»

Quando arriva il carro attrezzi scambiano con l’uomo frasi di circostanza, e mentre la loro auto viene caricata lei guarda verso lo scheletro della casa in lontananza.
«È tanti anni che è così» dice l’uomo. «Una brutta faccenda.»
«Dicevano che si è trattato di un incidente» trova il coraggio di aggiungere lei.
Lo guarda in faccia, poi torna a fissare i resti della casa.
«Sarà anche stato un incidente, ma intanto quel poveretto è morto di crepacuore, all’idea di non avere più niente.»

Lei allora si volta verso il fratello e vede per la prima volta i suoi occhi spaventati.
Getta a terra la sigaretta e si accerta di spegnerla, preme con forza la punta del piede. Salgono sul carro attrezzi e mentre partono guarda per l’ultima volta la casa, poi appoggia la mano su quella di suo fratello, e quando lui gliela stringe forte, solo allora ritorna a respirare.

bio-silvia-pelizzari

Silvia Pelizzari (1983) è nata sul lago di Garda. Ha scritto per Pagina99, Huffington Post ed è co-direttore editoriale di Finzioni Magazine. Ha partecipato all’antologia Brave con la lingua - Come il linguaggio determina la vita delle donne (Autori Riuniti, 2018). Sta lavorando al suo primo libro.

francesca marzia
esposito

Francesca Marzia Esposito vive a Milano, dove insegna danza. Si è laureata al Dams di Bologna, ha conseguito un master in Scrittura per il Cinema all’Università Cattolica di Milano. Alcuni suoi racconti sono apparsi sulle riviste «Granta», «GQ», «’tina», «Colla».

Nel 2015 ha esordito con il romanzo La forma minima della felicità (Baldini & Castoldi). Il suo secondo romanzo è Corpi di ballo (Mondadori 2019), mentre il suo esordio nella non fiction è Ultracorpi (minimum fax 2024)

Nei primi mesi del 2025 uscirà con HarperCollins il suo nuovo romanzo.


 

libri rappresentati

Ultracorpi
minimum fax
aprile 2024
pp. 387

Corpi di ballo 
Mondadori
ottobre 2019
pp. 216

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grazie

Un racconto di Marco Lazzarotto
Numero di battute: 2484

Ci eravamo fatti una birra al Downpatrick e, mentre io avrei voluto raccontargli di Giulia e dei fatti degli ultimi giorni, Enzo aveva passato tutto il tempo a parlarmi di calciomercato. Poi, in corso Francia, abbiamo sentito le urla dietro di noi.
Siamo partiti di corsa, tanto è bastato a convincere gli scippatori a fuggire.
«State bene?» ho chiesto con il fiatone. «Vi hanno portato via qualcosa?»
«Per fortuna no» ha detto una delle due ragazze. «Siete arrivati in tempo, grazie davvero.»
«Grazie» ha ribadito l’altra, controllando lo stato della borsa di pelle.
Meno male, ho pensato, era finita lì, era stato facile.
Le ragazze scrutavano per terra, alla ricerca di qualcosa caduto durante la colluttazione. Erano giovani e belle, non più di un metro e sessanta e capelli lunghi scuri.

«Se volete» ho detto, «possiamo scortarvi fino a casa.»
Si sono scambiate un'occhiata, poi si sono sciolte in sorrisi sorpresi.
«Davvero? Se potete... abitiamo qui vicino.»

«Te lo racconto un’altra volta.»

Si sono fermate davanti a un palazzo anni Sessanta con un atrio vetrato pieno di piante.
«Papà ti ha dato le chiavi?»
«No. Ha detto di suonare.»
«Grazie ancora. Non sappiamo proprio come sdebitarci.»
«Era il minimo che potessimo fare» ho detto. Anzi, grazie a voi, volevo aggiungere, grazie.
Era andato tutto bene. Poi è intervenuto Enzo.
«Che ne direste di un pompino?»
La ragazza con la borsa di pelle ha urlato, se l’è stretta a sé, mentre l’altra s’è buttata sul citofono. «Papà apri! Apri papà!» Si sono fiondate dentro, lanciandoci un ultimo sguardo pieno di terrore prima di scomparire.

Sono rimasto a fissare le foglie che si agitavano al di là dei vetri.
«Certo che la gente non ha più ironia» ha detto Enzo ridacchiando. «Non la finivano di ringraziare.»
«Forse perché le stavano scippando?»
In silenzio siamo tornati nel punto in cui avevamo sentito le urla.
«Sei proprio un coglione» gli ho detto. «Hai rovinato tutto.»
«Tutto cosa? Dài che un pompino te lo saresti fatto fare. Erano due belle topine.»
«Piantala.»
Finalmente il suo tono è diventato più serio: «Scusa, non ti ho chiesto niente di Giulia». Mi ha posato una mano sulla spalla. «Che hai combinato?»
«Te lo racconto un’altra volta.» Mi sono divincolato e gli ho fatto un cenno di saluto.

Arrivato sotto casa, ho alzato lo sguardo verso le nostre finestre, dove non passava neanche il più timido bagliore di una luce accesa. Evidentemente, Giulia aveva deciso di non tornare. Non ancora.
«Che coglione» ho detto mentre tiravo fuori le chiavi dalla tasca. «Che coglione.»

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Marco Lazzarotto (1979) è nato a Torino. Ha pubblicato i romanzi Le mie cose (Instar 2008, finalista al primo Arturo Bandini Opera Prima) e Il ministero della Bellezza (Indiana 2013). Suoi racconti sono usciti su Delos Science Fiction, ’tina, Effe e Colla.