Pastrengo Agenzia Letteraria

piacentini federico

l' oblò

Un racconto di Federico Piacentini
Numero di battute: 2497

Sollevo la massa informe che mi attorciglia il braccio. Qualcosa cade in terra mentre apro la porta e mi avvicino alla macchina. Quando mi volto sembrano pezzi di un corpo setoso. Un calzino qua, una mutanda là. Colori diversi che escono dalla massa che trasporto fino alla bocca rotonda che li deve inghiottire. Nel mondo c’è sempre dello sporco da lavare, come l’anima nera delle persone. Il lezzo deve essere occultato, il fetore, le patacche di unto, di sangue, di ceree secrezioni umane, di cheratinici filamenti scuri provenienti da mascelle, crani e arti.

Infilo la massa di tessuto intrecciato nella bocca rotonda. Sento come una leggera pressione negativa, come un risucchio. Come se anche io fossi lercio. E di certo lo sono dopo quello che ho fatto. I panni di noi due usati per l’ultima volta cadono dentro nella loro informe crespatura di cotone.

«Nel mondo
c’è sempre dello sporco da lavare.»

Mi alzo e raccolgo i pezzi caduti. Cotone liso, lana infeltrita. Me li rigiro tra le mani con ripugnanza e li getto nella bocca. Chiudo l’oblò, inserisco il sapone, materia bianca di purità assoluta che viene a mondare il mondo, a detergere il tergo, a risciacquare l’acqua sporca di macchia. Premo. La macchina carica un lamento come fosse irritata di essere svegliata dal torpore. Cala acqua sulla superficie levigata dell’oblò che trattiene tutto lo sporco del mondo.

D’un tratto vedo un punto grigio all’interno del vetro. Mi chino. Una mosca. Una piccola mosca ignara. Provo ad aprire il portellone ma è chiuso in una univoca e crudele scelta temporale di lavaggio. La mosca inizia a girare insieme alla massa mentre scure gocce la fanno scivolare. La massa e la mosca diventano un unico vortice grigio di rotazione come il viso di lei mentre mi allontanavo.

Mi dispiace. Più di quanto credessi. La mosca non meritava questo: non era sozzura umana come me, come noi, ma solo una mosca. Mi allontano e mi accorgo che la porta della stanza adesso è rotonda. La spingo ma non si apre. È formata da uno spesso strato di vetro da cui riesco a percepire il mondo esterno anche se distorto.

Provo ancora a forzare ma niente. Un brontolio in sottofondo e l’acqua inizia a cadere intorno a me dal soffitto. Mi si bagnano i vestiti come quando l’ho lasciata. La sua figura sfocata fuori dall’oblò. Il pavimento inizia ad allagarsi, batto sul vetro, gli urlo contro, impazzito. Ma all’improvviso capisco. Mi ha chiuso qua, del resto me lo meritavo. Fuori la sua silhouette melliflua se ne va, svanisce chissà dove mentre tutto comincia a ruotare.

Piacentini Federico

Federico Piacentini nasce in Toscana. Laureato in Medicina e chirurgia esplora da anni il mondo della scrittura. Suoi racconti sono stati pubblicati su riviste come Quaerere, RivistaBlam!, ILDA. Sta lavorando al suo primo romanzo.