Pastrengo Agenzia Letteraria

racconto andrea ballotti

olaf

Un racconto di Andrea Ballotti
Numero di battute: 2498

E chissà dove avevano buttato Ida. Chissà se anche lei l’avevano riempita di botte. Chissà se ce l’aveva fatta resistere. Passando le dita sotto la guancia sentiva il sangue raggrumato anche se l’occhio, a tastarlo così, alla cieca, non pareva tanto gonfio. La maglia era fradicia di sudore e il caldo, poi, non faceva per niente bene alla sua tisi. Quando i campi si ingiallivano e le lucciole si moltiplicavano, sfilando nella notte, Remo bestemmiava più forte e sperava che l’autunno ricominciasse presto.

Provò a sdraiarsi, aiutandosi coi gomiti e con le mani aperte. Fuori dalla finestra i grilli cantavano e si vedevano un paio di stelle, inutili e sbrilluccicose. Senza motivo, gli tornò in mente il vecchio Donati della Cascina E’ Mulèn.

«Anche lui, dopotutto, credeva in qualcosa.»

Il Donati gli aveva detto che il grano era venuto su robusto e che il raccolto sarebbe stato grasso. Così gli aveva detto e non c’era motivo di dubitarne. Il Donati era un tipo preciso e quando si metteva sul portico a riprendere un po’ di fiato pareva uno che credeva sul serio alla falce che taglia la spiga e alle vacche che tirano l’aratro. Non era una cosa da poco. E poi, lui sì che aveva il cuore buono e quando lo vedeva arrivare lo salutava alzando il berretto di paglia e correva subito a casa a prendere il fiasco del lambrusco.

Schioccando la lingua si tirò su, appoggiandosi al muro con due colpi di tosse che rimbombarono nello sterno come dentro a un enorme pozzo vuoto. Almeno, gli avessero lasciato il pacchetto di Macedonia e l’accendino. Niente. Afa appiccicosa e buio tutto intorno. Immaginò, sorridendo, che anche del buio si fidasse il Donati. Chissà se credeva anche alla morte o si accontentava di aspettare e basta.

Lui, Remo Cecchi, nome di battaglia Olaf, credeva che uccidere fosse una cosa facile anche se, quando sedeva su un paracarro a guardare la campagna, si chiedeva se quella terra così piatta e asciutta meritasse tanto sangue scivolato dentro. Poi pensava alle schiene rotte dei contadini, ai figli perduti, alle madri infiacchite, e allora si sentiva più tranquillo e si addormentava senza tormentarsi troppo.

Anche lui, dopotutto, credeva in qualcosa. Credeva che la sua Glisenti 1910 non si inceppasse mai e credeva che quel porco fascista di Leonida se l’era meritate quelle due pallottole sparate a bruciapelo in pieno petto. Buttò indietro la testa e immaginò che con un po’ di fortuna l’avrebbero fucilato il giorno dopo e avrebbero lasciato il corpo sul terrapieno, al sole di quell’ultima schifosa estate.

Andrea Ballotti

Andrea Ballotti è nato a Siena cinquantun anni fa. Laureato in Filosofia con un master in Letteratura e Editori, continua a vivere nella città del Palio. Ha una compagna, una figlia di quattro anni e una di quindici mesi. Ha praticato alpinismo per più di vent’anni. Come sport estremi, adesso, si dedica al disordine casalingo e al lancio del pannolino nell’indifferenziata.