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racconto chiara cerri

le poesie di marino q.

Un racconto di Chiara Cerri
Numero di battute: 2456

In un settembre che si era mangiato l’estate, mi ero trasferita in città per frequentare una scuola di ballo. Mio padre prima di partire mi regalò un coltello da campeggio, a lama grossa. Lo interpretai come un gesto d’amore.

Passai l’inverno a portarmi a casa coreografie monche, da ripassare di notte. Il mio corpo, tra demi plié, grand plié e relevé, non era mai abbastanza armonico; i miei movimenti mai all’altezza degli altri. C’era poi l’odore di pesce che la mia pelle emanava, la periferia, a seguirmi ovunque per la città.

Marino lo conobbi dall’alto. Dalla scala antincendio dell’edificio dove seguivo i corsi potevo accedere al tetto, a fine lezione mi piaceva andare a osservare le macerie della mattina fare spazio a quelle del pomeriggio. Quando lo vidi la prima volta, era sdraiato in un canto, all’inizio ho pensato si trattasse di un cane.

«Marino
lo conobbi dall’alto.»

Ogni giorno salivo sul tetto per guardarlo, passava il tempo accucciato con un libro tra le mani e solo quando vedeva arrivare delle persone si alzava. Da lontano non capivo cosa facesse. I suoi movimenti nell’aria erano simili alle mie coreografie, monchi, scombinati, ma pieni di una passione disperata.

Un giorno mi avvicinai. Recitava dei versi, aveva il viso maculato a macchie rosse scure. La cosa che più mi colpì di lui era che rideva solo con i denti di sotto: dei piccoli rettangoli circondati di nero e sangue rappreso, quelli di sopra nascosti dentro al labbro. Come se avesse voluto nascondere al mondo una piccola parte di sé.

Ogni volta che sorpassavo il viale della stazione, stringevo tra le mani il coltello da campeggio di mio padre. Mi arrivava addosso un vento freddo e il fiato caldo di vino di Marino era la cosa più familiare che avvertivo.

L’ultimo giorno del corso organizzammo una festa, alcuni di noi avrebbero provato a fare i ballerini sul serio. Audizioni, e cose così. Io non avevo i soldi per restare in città e mi mancava il mare.

Sul treno di ritorno chiamai mia madre e le dissi che quell’estate avrei lavorato al mercato con lei. Il martedì e il giovedì arrivavano i carichi di frutta e verdura alle cinque di mattina. Pareva felice.

Della città ricordo poco. I palazzi, lo sferragliare dei treni, la scuola di ballo, le facce dei miei compagni, ho un ricordo vago di tutto. Ricordo soprattutto le poesie di Marino, srotolate nell’aria ferrosa della stazione. Poi ingollate dai piccioni. Storte, come le mie coreografie.

Provai a ridere mostrando solo i denti di sotto.

cerri chiara bio

Chiara Cerri è nata in Toscana, ora vive a Torino. Si destreggia tra fotografia e altri lavori. Suoi racconti sono apparsi su Carie, SPLIT, Nazione Indiana, Rivista Blam e Grado Zero.