Pastrengo Agenzia Letteraria

Israelachvili-daniele-racconto

la kippah

Un racconto di Daniele Israelachvili
Numero di battute: 2473

«Dài Gabriele, esci dal bagno!» e giù pugni contro la porta. “Dio, come fa a essere così scemo?” si chiede Micael mentre apre la finestra.
«Spegnila subito!»
«Stai scherzando, vero? Hai un figlio di sette anni, vestito come un rabbino, chiuso a chiave in bagno e mi rompi se fumo?»

«Ti fa male!»
«Non tanto quanto gliene faccio io quando aprirà questa cazzo di porta» e giù un’altra serie di pugni, dopo aver lanciato la sigaretta fuori dalla finestra. Gli viene una gran voglia di bestemmiare ma si trattiene. Fa tre respiri profondi, poi appoggia la fronte contro la porta del bagno. «Gabri, anche a me manca il nonno, ma che senso ha vestirsi come lui? Tu non sei ebreo. La mamma è cattolica e ci manda pure a scuola dai Barnabiti…»
«Io sono ebreo! Come il nonno!» urla Gabriele dal bagno.

Micael sospira, mentre scaccia l’immagine di loro due al galoppo verso scuola. Lui sul cavallo e Gabriele con le mani legate che striscia sull’asfalto. «Già era strano spingere quella dannata carrozzina dalla casa di cura fino alla sinagoga, con il nonno tutto vestito di nero e quella kippah sempre in testa e poi» con un tono di voce ancora più basso «se vai a scuola vestito così, ti prenderanno tutti per il culo.» Anche se mentre lo dice in realtà sta pensando: “Ci prenderanno tutti per il culo”.

«Io sono ebreo! Come il nonno!»

Torna verso la finestra e si accende un’altra sigaretta. Mentre guarda la striscia di fumo allontanarsi, gli tornano in mente quei cerchi così perfetti che uscivano come ciambelle dalla bocca di suo padre. Uno spettacolo, che però suo fratello non aveva mai visto. Dopo averla spenta sul davanzale, rimane lì a fissarla mentre cade nel vuoto. “Sarebbe bello se almeno una volta, dopo aver toccato terra, rimbalzasse e tornasse su” pensa, e allunga una mano sporgendosi leggermente in avanti. Dopo aver aspettato inutilmente grida: «Fanculo!», poi chiude la finestra e torna davanti alla porta del bagno per dire a suo fratello che va bene, se vuole a scuola può anche andarci vestito così, che lo accompagna lo stesso.

Sente il rumore di una chiave che gira, ma la porta rimane chiusa. Quando Micael abbassa la maniglia lo trova seduto a terra. Indossa un gilet nero sopra una camicia bianca e tra le mani stringe la kippah del nonno. Sotto ha solo un paio di mutande dalle quali partono due gambe magrissime. Mentre si china per togliergli la kippah dalle mani si accorge che sta piangendo. Lo prende in braccio e, dopo avergliela messa sulla testa, insieme escono dal bagno.

Daniele Israelachvili

Daniele Israelachvili (1978) scrive i suoi primi racconti durante le lezioni di Microeconomia all’università, ma per anni non lo dice a nessuno perché ai suoi occhi è come se suonasse l’ukulele nudo. Quest’anno suoi racconti sono apparsi o appariranno su ’tina, Risme, Blam, Bomarscè, Clean e Narrandom.