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Un racconto di Olga Campofreda
Numero di battute: 2403

Il giorno in cui mio nonno morì, sulle prime non ci avevo creduto, benché fossi stato io a trovarlo. Se ne stava nel suo letto, immobile e supino, testa alta e labbra un po’ socchiuse come un attore in attesa dell’apertura del sipario. La sera prima ci aveva chiamati intorno al letto, io e i gemelli, che all’epoca avevano solo tre anni. Ci aveva fatto sedere sulle lenzuola a guardare Il padrino con lui, e ogni tanto nel dormiveglia ripeteva sottovoce le battute insieme a Marlon Brando. La maggior parte delle volte la sua voce arrivava in ritardo come una telefonata in cattiva ricezione, ma dava al tutto un effetto di solennità.

La mattina seguente mio nonno era morto e le sue guance rigonfie e discese verso il basso sembravano piene di ovatta così che sulle prime pensai si trattasse di uno scherzo. Di quei giorni ricordo tutto al rallentatore: la cadenza regolare del rosario, il buio, le candele. Era la mia prima morte ed era strana, leggera forse, non particolarmente straziante, come invece l’avevo immaginata dai racconti dei miei compagni di scuola.

«Era la mia prima morte
ed era strana, leggera forse.»

La settimana dopo la maestra mandò a chiamare mia madre a causa di un tema che avevo svolto. La traccia se ne stava scritta in rosso marcato: Che cosa impariamo dalla televisione. In verde avevo riportato il titolo del film, a cadenze irregolari alcune frasi erano sottolineate in blu. La maestra ricordò a mia madre quanto fosse stato inappropriato mostrare Il padrino a un bambino di otto anni, che a questo portava l’esposizione alla violenza reiterata e gratuita, all’appiattimento della percezione, al disfacimento della scala dei valori, e tutto il resto. Rimediai uno schiaffo per aver coinvolto i miei fratelli, poi tornammo a casa.

Alla fine del film mio nonno mi aveva dato dieci euro e mi aveva chiesto di andarmeli a giocare al lotto il giorno dopo ed era giusto così, come ogni domenica. Mentre camminavo verso la tabaccheria avevo pensato che morire è una cosa brutta ma non è del tutto infame, che prima o poi lo sai che deve succedere, tutto sta a ricordarselo ogni tanto e colpa nostra poi se lo dimentichiamo. Mio nonno aveva iniziato a dirci addio dall’inizio della malattia e aveva terminato con i titoli di coda di quell’ultimo film. In fondo era stato bello. Non come mio padre, che senza dire niente una sera non era più tornato. Insieme avevamo visto solo qualche puntata di Dallas, mai per intero. Non ricordo.

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Olga Campofreda (1987) vive a Londra, dove svolge un PhD in Italian Studies. Nel 2011 ha pubblicato Caffè Trieste (Giulio Perrone Editore), i suoi racconti sono apparsi su Colla, Cadillac e Vicolo Cannery.