Pastrengo Agenzia Letteraria

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il labirinto di arianna

Un racconto di Gioacchino Lonobile
Numero di battute: 2467

Venni a conoscenza dell’esistenza del labirinto da un antiquario che aveva il suo negozio nella via che i turchi chiamavano Al-kasar, ed era solito vendermi vecchi libri usati spacciandoli per antichi.

La struttura al centro di una valle aveva una grande porta ad arco, le mura alte più di un uomo avevano lo stesso colore della terracotta, il vento e la pioggia le avevano modellate. Non sembrava essere una costruzione umana, come se non avesse origine, ma fosse stata lì da sempre, dall’inizio dei tempi, come i sassi e le montagne che la circondavano. Il labirinto faceva parte del luogo che l’ospitava e con esso condivideva lo stesso spirito.

Su un muro lessi i nomi che chi mi aveva preceduto aveva inciso per testimoniare il proprio passaggio, quando varcai la grande porta iniziai il percorso inverso a quello che aveva condotto l’uomo al mondo. Camminai per un tempo che avrei quantificato in giorni, anche se la luce non abbandonò mai il mio viaggio. Non provai né fame né sete, non mi sentivo stanco, nonostante non avessi mai dormito.

«La morte arriva nel momento
in cui si pensa
di essersi smarriti.»

Percorrendo quegli anfratti, quelle pieghe e quelle spirali che copiavano le forme delle onde, le pensai senza fine, imperiture, perpetue, pensai a Uruk, un uomo normale che non era in grado di morire; ricordai Gilgamesh, suo padre e tutti quelli che avevano visitato il regno dei morti e la leggenda aveva consacrato come immortali. Qual era la concezione del tempo allora, quando tali miti nacquero? Se la vita durava all’incirca trent’anni, vivere fino a ottant’anni o a novanta, tre volte il tempo di una esistenza media, si poteva già considerare immortalità?

Arrivai al centro del labirinto, nella parte più intima delle sue viscere che era anche quella situata più in alto. Fu in quel momento che mi tornarono in mente le parole dell’antiquario: «Non bisogna mai darsi per vinti, mai cedere allo sconforto e perdere la speranza. La morte arriva nel momento in cui si pensa di essersi smarriti. Si giunge all’uscita camminando abbastanza a lungo». Anche un solo dubbio avrebbe decretato la mia disfatta e quel luogo sarebbe diventato la mia tomba.

Superai la durata di più giorni di cammino e il cielo s’imbrunì appena. La salita si mutò in lieve discesa, la curva in rettilineo. Passò ancora diverso tempo prima che si spegnesse la luce e facesse del tutto notte. Dormii un sonno senza sogni, senza riposo né ristoro, quando mi svegliai, ripresi il viaggio in quella notte che aspettò l’alba per migliaia di passi.

 

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Gioacchino Lonobile (1979) nasce a Toulon ed è dottore di ricerca in Neuroscienze. Ideatore del festival letterario FAIR – Farm in reading – presso Farm Cultural Park. Ha pubblicato Espadrillas Gialle per 18:30 edizioni (2008) e altri racconti per le riviste Atti Impuri, Prospektiva, Nazione Indiana, TerraNullius e Nuova Prosa. I giorni della vampa (il Palindromo 2016) è il suo primo romanzo.