Pastrengo Agenzia Letteraria

Monthly Archives: Febbraio 2023


racconto racconto di Marta Cristofanini

il bagatto

Un racconto di Marta Cristofanini
Numero di battute: 2494

Sogna che la testa di sua figlia si spacca come un uovo. Ne cola via una materia densa, del colore dei tuorli. Il silenzio si diffonde intorno a lei come una benedizione.

Quando riapre gli occhi, la bambina ha la faccia paonazza e urla. Le gengive nude rivolte verso di lei, il rumore di gola che si straccia, senza sanguinare. È lei, a farlo.

Le sono tornate le mestruazioni. Osserva la macchia che si spande, quel miscuglio di plasma ed emociti intento a corrodere il lenzuolo. Si alza. La bambina è zitta. Sradica il coprimaterasso, lo getta nella vasca sotto l’acqua fredda. Latte, ora, adesso.

Il seno punge mentre la bambina la guarda con occhi di spillo. Vede il suo seno appassire, schiacciato come uva nella bocca sdentata. Le mani grinzose della neonata insistono sulle smagliature, una smorfia di godimento le disfa i lineamenti. Sente i capelli pesanti sulle spalle.

«Latte,
ora, adesso.»

La bambina capelli non ne ha. Chissà se ne avrà tanti. Chissà se sarà una di quelle donne a cui s’intravede la nuca, dall’alto. Da piccola, in cima alle scale del palazzo, avrebbe voluto sputarci sopra.

In piedi, davanti al fornello. Dovrebbe mangiare lei, ora, ora che può, prima che. Sente rumori di suzione concitati, la bambina succhia con prepotenza la propria cavità orale, le gambe scalciano nel sonno.

A nove anni aveva visto una gatta partorire nella casa di campagna. Era riversa nella pozza dei suoi umori, divorata dai cuccioli ciechi, attonita.

Che ore sono, sembra notte. È rimasta in piedi con il frigo aperto, sente freddo.

Apre i cassetti, li chiude. Ancora quel grido, quell’annaspare, è bene che impari che io non ci sarò sempre. Glielo dice fissandola dall’alto, mentre si contorce senza fiato, il piumaggio rado sulla nuca scoperta. Per un attimo si rivede prendere la mira con la bocca piena di saliva.

Luisa capovolse le carte, le disse nulla accade per caso. Se lo ripete la notte, stringendosi le gambe al ventre quando il dolore diventa insopportabile. Il Matto, l’Appeso. L’Imperatrice. Li vede ballare in cerchio, sdentati, le ossa spezzate: l’Arcano del Sole sorge per ultimo, illumina un cavallo bianco con l’infante sul dorso che cavalca verso di lei, in fiamme.

Quando riapre gli occhi, la bambina si è sollevata sui pugni e ride con la faccia sgualcita.

Deve essere davvero notte, ora, perché lui accende la luce mentre chiama il suo nome.
«La bambina ha messo su i denti» gli dice.
Lui si sfila piano il cappotto, con cura lo ripone sul letto.
«Quale bambina?» risponde, senza guardarla.

marta cristofanini

Marta Cristofanini nasce a Genova, e ci ritorna. Si occupa di design conversazionale e comunicazione. Dopo aver passato del tempo (felice) a fare teatro, ora ne scrive su L’Oca critica insieme ad altri pennuti. I suoi racconti sono apparsi su Rivista Blam!, Salmace e su Retabloid nella sezione Atomi.

racconto Mario Greco

flip, flop

Un racconto di Mario Greco
Numero di battute: 2484

Mi ero del tutto dimenticata dell’idraulico. Si presentò intorno alle nove. Un ragazzo grasso, con le braccia ricoperte di tatuaggi. Mi scusai per il disordine che regnava nel bagno. Mi sentivo in disordine anch’io, a dir la verità, con quel pigiamone di flanella addosso, i capelli tutti scompigliati.

«C’è da cambiare la guarnizione» disse il ragazzo.

Una diagnosi veloce e precisa, da vero professionista. Aveva un leggero affanno, teneva la bocca semiaperta e tirava sempre su col naso.  Da un momento all’altro, qualche gocciolina sarebbe caduta giù. Flip, flop. Il suo naso come il mio rubinetto. Quando si piegava, i pantaloni scendevano giù, lasciandogli mezzo sedere di fuori. Mi sarei messa a ridere, se non fosse stato per quei tatuaggi. Tutti quei teschi, quelle croci.

 «Chi è che gioca a calcio?» mi chiese, indicandomi le scarpette sporche di fango buttate in un angolo, a fianco della cesta dei panni sporchi.

«Mio figlio» risposi.
«In che ruolo?»
«Non lo so. In attacco, mi sembra.»
«È fortunato.»
«In che senso?»

«Tutti quei teschi, quelle croci.»

 «Anche a me sarebbe piaciuto giocare in attacco, ma non potevo. Stavo sempre in porta. Non potevo correre, per via della gamba.»

«Che cosa ha la sua gamba che non va?» 
«La sinistra è più corta della destra.»
«Non mi sembra.»
«Guardi, guardi bene.» 

Si mise a camminare in quell’esiguo spazio, col busto eretto, come un modello. Io non notavo niente, nessuna differenza.

«Sono uguali» dissi. «Due gambe perfettamente uguali.»
«Non dica bugie» fece lui. «Zoppico. È così evidente.»

Si stava innervosendo. Si sedette sul bordo della vasca. Avevo l’impressione che si stesse mettendo a piangere. Tirava sempre su col naso. Non so perché, ma mi venne in mente il mio ex-marito che raccontava sempre tutte quelle barzellette sconce sugli idraulici. Si rideva sempre quando c’era lui che si esibiva al centro di qualche tavolata. Un attore nato. L’unica a non ridere ero io. Idraulici, carabinieri. Il solito repertorio, a uso e consumo dei commensali. Mio marito. Mi chiesi, perché, improvvisamente, mi ero messa a pensare a lui. Per non mettermi a piangere anch’io, guardai fuori dalla finestra, ma lo spettacolo non era esaltante. I palazzi grigi, la vicina che ritirava il bucato dallo stendino, il cielo minaccioso del tardo autunno.

Il rubinetto ci richiamò all’ordine. Flip, flop. Il ragazzo prese la sua bella chiave inglese e si mise all’opera.

«Perché non m’insegna come si fa?» gli chiesi. «Non dovrebbe essere tanto complicato cambiare una guarnizione.»

mario greco

Mario Greco è nato nel 1959, a Sant’Arsenio, dove risiede. Nel 2011 ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria del Premio Chiara per una raccolta di racconti inediti. Nel 2016 un suo racconto è stato pubblicato nell’antologia Dieci racconti per Piero Chiara (Macchione editore). Altri racconti sono stati pubblicati sulle riviste Tuffi, Carie, Grado Zero, Pastrengo, Rivista Blam, il Mondo o Niente, In fuga dalla bocciofila, Formicaleone, Smezziamo, Quaerere, Birò, Grande Kalma.

racconto martana

il gorgoglio della terra

Un racconto di Gianfranco Martana
Numero di battute: 2499

Alle 19.34 del 23 novembre 1980 mio padre era a letto, bloccato dal colpo della strega; mia madre in cucina a rassettare; io nel salone col zuppone di latte, davanti alla tivù che trasmetteva la differita della partita. D’un tratto sentii tintinnare la porta-finestra che dava nel giardino e pensai che si fosse alzato il vento; poi vidi il latte agitarsi nella ciotola. Qualcosa mi tremava sotto i piedi, ma non era solo qualcosa, era tutto, e tutto intorno a me. Non era più nemmeno un tremore, ma un ondeggiare e un sobbalzare. “Il treno!” pensai. In paese la stazione non c’era, ma qualche settimana prima mio padre mi aveva detto che presto l’avremmo avuta. Forse quel tempo era venuto e nessuno ci aveva avvisato.

Mio padre! Guardai verso la porta che dava nel corridoio e lo vidi sulla soglia, in vestaglia, in piedi. «Vieni, è il terremoto» disse, con voce assurdamente calma. Gli presi la mano e raggiungemmo mamma, di cui solo ora sentivo le urla.

«Vieni,
è il terremoto.»

Mio padre aveva capito tutto con almeno un minuto di anticipo: era uno con le antenne sensibili. Quando c’era il caffè sul fuoco a un certo punto diceva a mia madre: «Il caffè sta uscendo». «Ma quando mai?» rispondeva lei, ma un attimo dopo potevi già sentire il gorgoglio. Ecco, lui aveva sentito il gorgoglio della terra molto prima di noi.

Uscimmo in strada. Svoltato l’angolo eravamo già in piazza. I lampioni e le nostre povere luminarie di paese erano spenti. Guidati dalla poca luce notturna andammo alla fontana di pietra chiara che si ergeva nel mezzo, lontano dalle case. Altre famiglie affluivano da tutti i lati, come fiumi al mare, precedute da lamenti angosciati. La terra non tremava più, gli uomini sì, di paura e di freddo. Eravamo quasi tutti in pigiama o in vestaglia; qualcuno era riuscito a buttarsi addosso qualcosa di caldo, qualcun altro aveva fatto in tempo ad afferrare una torcia e ora la puntava sugli edifici circostanti per accertarsi dei danni, ora sui compaesani con la stessa intenzione, e ne scandiva i nomi come quando si chiama l’appello.

I telefoni presero a squillare nelle case vuote: erano amici e parenti che chiamavano, appena saputa la notizia dal telegiornale. Nessuno andò a rispondere, e per un po’ restammo zitti e fermi ad ascoltare incantati l’allegro gorgheggio meccanico che quell’anno fu il nostro primo e ultimo concerto di Natale, mentre all’altro capo di quei fili – a Torino, in Belgio, in Germania – i monotoni e interminabili tuuu... tuuu... segnalavano che, forse, eravamo tutti morti.

Martana Gianfranco

Gianfranco Martana è nato a Napoli nel 1971. Cresciuto a Salerno, si è trasferito prima a Brighton e poi a Valencia. È dottore di ricerca in Italianistica. Autore di una quarantina di racconti pubblicati in riviste italiane e spagnole, è stato finalista al Premio Solinas con la sceneggiatura Mammaliturchi! che a breve uscirà in forma di romanzo presso Inknot Edizioni. Il suo primo romanzo è stato Un’opera di bene (Ellera, 2015).

marchiori alessia racconto

taci, olga

Un racconto di Alessia Marchiori
Numero di battute: 2384

Tic toc, tic toc, tic toc.

«Mario, ancora alla finestra? È l’una, zè ora de dormire, vien qua.»
«Tasi vecia. Son qua che li guardo, ’sto branco de simmie, guarda ciò, che vergognosi.»

Tic toc, tic toc.

«Mario, lascia che facciano festa anche loro. Sarà una qualche tradizione del loro paese, poreti, anche loro hanno diritto.»
«Tasi, Olga. Indiani vien dalla scimmia: non te vedi che sopracciglia? Che barbe ludre? Che turbanti de strasse? Indiani vien dalla simmia. Mi vegno dall’orso.»

Tic toc, tic toc.

«Ah che ti vedono, ’tento.»
«Chiudi quella boccaccia, oca marina, pora insulsa.»

Grattandosi la pancia, Mario si slabbrò ancora di più la canottiera ascellare macchiata di sugo e intrisa di umori ormai rinsecchiti. Una volta in cucina, si versò un bicchiere del rosso. Del “suo” rosso. Orgoglio veneto. Fatica dei campi, sveglie all’alba, polenta e soppressa in saccoccia.

«Ah che ti vedono, ’tento.»

Tic toc, tic toc.

«Ancora lì, mai stufi. Ancora festa. Laorare mai.»
«Mario, ’sta quieto. ’Tento che ti vedono.»
«Cosa me ne frega? Ancora! Cosa me ne frega? Dormi, comare!»
«Prima o dopo te la paghi, ’tento.»

Tic toc, tic toc.
Tic toc, tic toc.

Mario si tolse la dentiera con un rapido movimento e la buttò nel bicchiere. Immersa nel liquido, rifletteva sulle gengive il chiaro di luna. Una scoreggia a tradimento, di quelle che vibrano come trombe tra le chiappe e sfuggono che è un piacere, svegliò la Olga.

«Mario, ancora in piedi? Ma allora?»
«Sssssssssh, dormi e tasi! Tormento!»
E tirò su ancora la tapparella del bagno, perché voleva vedere bene.
«Senti che odori, odori da bestie. Ma cosa è che mangiano? Polastri? Ovi? Riso stracotto? Neanche mangiare, neanche quello, boni zero. Paiassi.»

Tic toc.
Tic toc, tic toc.

«Olga, Olgaaaaaa, ssssssh, sveia!»
«Ah, eh, mmmmh, cossa? Cossa succede?»
«Olga, tuti mati, tuti mati.»
«Ma chi Mario? ’Ndiani?»
«Olga, arriva un indiano qua, eccolo, sta rivando.»
«E come mai, Maria Vergine, cossa combini? Hai sparlacciato, come al tuo solito?»
«Olga, no, no, ma che sparlacciato. Ma, ma, l’indian vien col baston! Olga, un baston belo largo. Signor de Dio.»
«Un baston? Ma sei matto? Come un baston?»
«Ecolo, mah, non so, el ride, col baston, belo largo, un baston col manico.»

Il giovane Arman si fermò sotto la finestra di Mario. I denti bianchissimi che scintillavano nell’oscurità. Alzò rapido il braccio con cui teneva saldo il bastone largo ed esclamò a gran voce nella notte:
«Cricket?».

mde

Alessia Marchiori nasce e vive a Verona, dove lavora. Dopo qualche anno passato su carte e manoscritti, di cui conserva l'antica passione, si dedica ora all'immersione nelle storie: impara dagli adolescenti, cammina in montagna, cucina etnico, legge, legge e legge, e scrive. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in alcune antologie.